Noi tutti siamo già esperti del cambiamento e del morire. Non lo siamo altrettanto del vivere e questo è il punto su cui inciampiamo tutti. Nel corso di una vita, moriamo tante volte. Basta pensare a tutti passaggi e ai cambiamenti importanti della vita. Il bambino si trasforma in adolescente, l’adolescente in adulto. Ci si sposa, si hanno dei figli, si cambia paese, città, casa, partner, si invecchia, e un bel giorno dovremo prendere seriamente in considerazione il nostro passaggio ad altri piani di esistenza. Tutti questi passaggi che segnano la nostra crescita ed evoluzione possono compiersi perché qualcosa muore e si trasforma. Sono tante le piccole morti che marcano, come pietre miliari, il nostro percorso verso più saggezza e più amore. Si afferma spesso che la morte è una tappa naturale della vita. Non è un luogo comune. Non ci può essere il nuovo se qualcosa di vecchio occupa spazio nella nostra vita. Questo si applica a tutti gli aspetti della vita: le relazioni, gli oggetti, i pensieri. I problemi nascono quando c’è attaccamento a vecchie forme di pensare, di amare, di avere e di essere.
La nostra reazione al cambiamento è generalmente soggettiva e si differenzia da un individuo all’altro. Un cambiamento – come nel caso di un trasferimento in un’altra città, ad esempio – potrà da qualcuno essere vissuto positivamente e interpretato come una opportunità di espansione e di crescita. Per un altro, invece, potrà essere fonte di stress, essendo interpretato come un distacco, un allontanamento dalle persone care, oppure sarà affrontato con la paura dell’ignoto.
È facile capire quanto siamo condizionati dai nostri modelli interpretativi, al punto da rendere gli eventi ordinari della vita una sfida, una pressione, un peso oppure una opportunità, il compimento dei nostri desideri. I nostri modelli interpretativi derivano solitamente dai condizionamenti educativi, culturali e religiosi ricevuti oltre a quelli sociali, e a cui ci sforziamo di adattarci perche “è cosi che si fa”. Possono anche derivare da esperienze traumatiche passate, memorizzate come “situazioni spiacevoli da evitare. In effetti, le nostre emozioni sono intimamente collegate al nostro corpo e al nostro pensiero. Emozioni sgradevoli quali la paura, la rabbia, la solitudine, l’impotenza sono il campanello d’allarme che ci avverte che qualche situazione non è ben accetta da noi, anche se ci sforziamo di adattarci. Quindi non è il cambiamento di per sé a causare dolore o piacere, ma la nostra reazione ad esso, originata dalla chiave di lettura adoperata per interpretarlo. Alcuni cambiamenti esterni possono fungere da catalizzatori su una situazione già compromessa dal fatto che da molto tempo non riuscivamo a soddisfare i nostri bisogni fondamentali. Durante l’anamnesi di persone affette da cancro, si riscontra che, in un arco di tempo di circa due anni precedenti la diagnosi, c’è stata una successione di cambiamenti, vissuti in maniera stressante e sgradevole. Si tratta per la maggior parte di cambiamenti non voluti, ai quali si è reagito con una forte carica emotiva. Questi stress, riconducibili a situazioni esterne, hanno creato un sovraccarico dell’organismo (stress esogeno). La situazione si aggrava quando le persone si trovavano già logorate da uno stress psichico prolungato dal momento che non riuscivano più a soddisfare i loro bisogni fondamentali (stress endogeno).
Il cambiamento è inevitabile perché è movimento, e la vita stessa è ciclica. Come le cellule del nostro corpo muoiono e si rigenerano, i nostri modelli interpretativi possono rigenerarsi e aprire la porta a ciò che è essenziale per la nostra felicità e crescita spirituale. Nulla è destinato a rimanere così come è perché siamo esseri in costante evoluzione. Diceva Eraclito: «non si può discendere due volte nel medesimo fiume e non si può toccare due volte una sostanza mortale nel medesimo stato, ma a causa dell'impetuosità e della velocità del mutamento essa si disperde e si raccoglie, viene e va»